Nazione civile tre

Ho letto per tutto il pomeriggio di ieri diversi commenti tutti più o meno incentrati su come sia doveroso riconoscere al governo Renzi il risultato della legge sulle unioni civili.
Il mantra, un po’ per tutti, è stato che “ci hanno provato in tanti ma solo Renzi ci è riuscito.”
La mia reazione è stata, prevedibilmente, di fastidio, fino a quando non mi è arrivata una illuminazione.
Fastidio perché nel nostro paese le leggi le fa il Parlamento, e non il Governo, ma nella testa degli italiani in realtà in un modo anche un po’ grottesco è già stata metabolizzata quella che sarà la riforma costituzionale. Insomma le cose che contano le decide il Governo, il Parlamento serve ad altre cose.
Fastidio perché la legge è stata approvata con due voti di fiducia, ma la fiducia sul testo quando conteneva ancora la stepchild adoption, e quando questa era considerata indispensabile da coloro che oggi festeggiano, proprio no, non si poteva chiedere.
Fastidio nel vedere le facce trionfanti non di Monica Cirinnà, ma del Ministro Boschi e del candidato Sindaco di Roma (o era il vicepresidente della Camera? Ah già, sono la stessa persona).
L'illuminazione è arrivata solo molto dopo. L'Italia ha finalmente avuto una legge che riconosce le unioni anche tra persone dello stesso tempo, e l'ha potuta avere alla fine di un ciclo. Un ciclo che ha privato la politica di ogni riferimento residuo a qualsiasi ideologia. Una politica che ora è semplicemente l'espressione della gestione del potere, senza nessuna sovrastruttura di carattere morale, o culturale.
La legge per le unioni civili, se ci pensiamo bene, la dobbiamo semplicemente al fatto che, tolto di mezzo - temporaneamente o per sempre Berlusconi - i partiti che governano il paese non sono espressione di alcun pensiero etico. Sono completamente neutri, o peggio, indifferenti.
Ed è vero che all'Italia serviva una legge sulle unioni omosessuali. È vero da molto tempo. Ma è anche vero che la stessa legge, in questo preciso momento, e in misura molto maggiore, serviva al governo Renzi.

— P. O.

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