Il lavoro del poeta

La mia arte consiste nel trattare il male, poiché sono poeta, e non c’è quindi da stupirsi se mi occupo di queste cose, dei conflitti che caratterizzano la più patetica delle epoche. Il poeta si occupa del male. Sta a lui vedere la bellezza che vi si trova, estrarla (o mettervi quella che lui desidera, per orgoglio?) e utilizzarla. L’errore interessa il poeta, poiché solo l’errore insegna la verità. Ripeto che il poeta è asociale (apparentemente), canta gli errori e poi li incanta perché servano – o siano – la bellezza di domani. La definizione abituale del male mi fa pensare che esso sia solo un avanzo di Dio. La poesia o l’arte di utilizzare gli avanzi. Di utilizzare la merda e farvela mangiare. Per male intendo qui il peccato contro le leggi sociali o religiose (della religione di Stato) mentre il Male esiste realmente solo nel dare la morte, o nell’impedire la vita. Non cercate di basarvi su questa rapida definizione per condannare gli omicidi. Spesso uccidere è dare la vita. Uccidere può essere un bene. Lo si capisce dall’esaltazione gioiosa dell’omicida. È la gioia del selvaggio che uccide per la propria tribù. Riton uccide per uccidere, ma non importa. Non è questo il peccato. Uccide per vivere poiché quegli omicidi sono il pretesto e il mezzo per una vita più alta. Il solo delitto sarebbe distruggere se stessi, poiché la conseguenza è uccidere l’unica vita che conta, quella del proprio spirito. Conosco male i teologi, ma sospetto che siano profondamente del mio parere su questo punto.

Jean Genet

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